Voglio mordere. Sempre!

Ho conosciuto Elena Biancalani per averla intervistata, dopo che si era qualificata prima al concorso agli Internazionali di Economia del 2022: andò a Torino a ritirare il premio, niente meno che dalle mani del Nobel 2021 per l’economia Michael Spence, e dal direttore scientifico del festival che il premio organizza, Tito Boeri. Che dire… una ragazza da numeri! Oltre ai numeri, però, ha dimostrato di poter vantare un’ottima pratica anche con le parole, usate in perfetto equilibrio a cuore, cervello, anima.

Lo ha dimostrato – lei così giovane, è nata nel 2004 – con un libro già pubblicato da Romina Valentini, editore di quelli seri che sceglie cosa mettere in catalogo senza chiedere contributi agli autori, considera solo il valore dei contenuti. È rimasta affascinata dalla storia di Elena, una storia legata al disturbo del comportamento alimentare, l’ha trovata coinvolgente per sé, per ciò che la ragazza a vissuto, e per tutte le giovani donne cui può rivolgersi, le tante che si trovano a vivere la stessa esperienza. Così, dallo scorso maggio, il catalogo della casa editrice si è arricchito di “Voglio mordere. Sempre!”, titolo curioso nato da un gioco di parole fra Elena e un’amica, cui chiese se avesse dei rimorsi: «No, ho sempre morso!», fu la risposta, netta e ironica, che ha ispirato il titolo.

Detto questo, mi chiedo se sia io autorizzata parlarvi di anoressia. Dal momento che non sono un medico e neppure una psicologa, la risposta più immediata è no. Però… talvolta ci sono circostanze in cui la prospettiva può – o deve? – cambiare, si indossano quindi lenti da vista diverse dalle solite, e si guarda il mondo in altro modo: chi proverà, resterà stupito da quanto sia bello vedere tutto nuovo! È da questo punto di vista che mi sento autorizzata a dire la mia, la narrazione mi è terreno noto, ed è strumento che in questo libro trova conferma della sua valenza terapeutica.

Mi avventuro quindi su questo terreno seguendo una duplice motivazione: l’anoressia è fenomeno sociale, coinvolge un numero sempre maggiore di giovani – soprattutto ragazze – rappresentando un disagio sul quale molte ipotesi sono aperte, ma ancora poche sono invece le risposte utili da dare. Intanto, con chiarezza, Elena denuncia il suo malessere individuando i motivi che portano al prolificare dei disturbi del comportamento alimentare – ma non solo di questi – nella speculazione commerciale che genera stereotipi ai quali più o meno consapevolmente ci adeguiamo: chi, per esempio, ha stabilito che magrezza significa bellezza? Ma chiediamoci, ancor di più, perché siamo tutti così disposti ad accettare stili di vita che altri hanno deciso per noi.

Ma veniamo al secondo aspetto, la potenzialità del narrare, che nel caso di Elena si è manifestata in tutta la sua forza terapeutica: «Il mio racconto parla di disturbi del comportamento alimentare, perché ne ho sofferto e ne ho pagato le conseguenze, fisiche ed emotive […] Mi sono resa conto di quanto sia difficile mettersi a nudo e raccontare di sé: significa rendere partecipe delle proprie sofferenze tante persone, aprire loro la porta d’ingresso del proprio mondo interiore, quindi anche a esperienze forti e dolorose. Ho avuto paura, avere tatuato addosso lo stigma di quella anoressica mi ha spaventato […] Vorrei dire che è possibile guarire e concludere periodi dolori riconducendoli a essere soltanto un capitolo della propria vita.» Elena si presenta così, senza nascondere le fragilità che l’hanno fatta soffrire ma che oggi non teme: ha chiuso un capitolo con la consapevolezza che quanto ha acquisito le sarà di supporto per procedere nel futuro con sicurezza. E con entusiasmo.

Nel libro racconta tutta la sua esperienza, fra le pagine srotola la sua vita come un gomitolo di lana, tirando il filo verso il fine corsa che la troverà vincente, dopo essersi confrontata in una competizione durissima con il proprio corpo. Di sé parla all’inizio con estraneità: la parte sorvegliante… la vocina della malattia… si nutrono del suo corpo, della sua mente, delle sue giornate isolandola dagli altri. Finché indica i “sintomi” della guarigione: in primis accettare l’idea che il disturbo c’è, passo essenziale per poi via via costruire consapevolezza, con apprezzamenti verso la propria persona che permettono di apprezzarsi andando verso la guarigione.

Un risultato impossibile da raggiungere da soli, bisogna imparare a riconoscere il ruolo degli “altri” – quindi sanitari, ma anche familiari e amici – che ci sono per sostenerti: «Devo ammettere di essere fortunata: ho al mio fianco una famiglia straordinaria», scrive a un certo punto Elena, che in molte pagine esprime senza riserve l’immensa gratitudine per la mamma, cui non per caso ha dedicato il libro definendola la sua salvezza.

Ruolo degli “altri” fra i quali – tornando al discorso iniziale – voglio comprendere il diario, che a un certo punto iniziò a «[…] scrivere da me a me, per fare chiarezza, per essere razionale e non cedere ai meccanismi della malattia. Con voce distaccata mi analizzavo e riflettevo

Rappresenta spesso le sue riflessioni ricorrendo a espressioni figurative, come la “vocina della malattia” o le “montagne russe” perfette per raccontare con efficacia il suo sentire. Usa anche termini che alla malattia si riferiscono – si tratti di metabolismo basale come di HSP – dandone spiegazione dettagliata seppur semplice, tanto che mi sento di definire il libro come una sorta di piccolo manuale – per quanto amatoriale – utile a comprendere con chiarezza il mondo dei disturbi del comportamento alimentare, e comunque impreziosito dall’accurata prefazione dello psicoterapeuta Francesco Babbini.

Che dire… brava Elena, sei una persona concreta, dotata di intelligenza vivace che ha voluto capire e superare se stessa, per andare avanti: un esempio da tenere a mente.

 

 

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